Intervista a Davide Di Rosolini, dalla Sicilia a Torino con furore. E una Panda.

Davide Di Rosolini
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È la sera dell’ultima rappresentazione stagionale di Viva la Vida. La mia amica Irina e io siamo appena arrivati, proprio nel bel mezzo delle prove finali. Mauro, il regista, è dabbasso alle prese con gli ultimi check. Meglio presentarci dopo. Mi avvicino allora a Davide di Rosolini, il musicista che suonerà live la colonna sonora dello spettacolo.

Definirlo solo musicista, ora che ci penso, è un po’ riduttivo.

Rincominciamo. Davide Di Rosolini è innanzitutto un cantautore siciliano, quasi trapiantato a Torino. Quasi perché vive per lunghi periodi in città, ma non stabilmente.

Davide Di Rosolini è anche uno degli artisti più eclettici, poetici, ironici che io abbia avuto modo di conoscere negli ultimi anni. Uno che passa in un amen dalla chitarra al pianoforte alla fisarmonica, dal mood malinconico a quello spassoso a quello romantico. Che fa spettacoli che sono musica, cabaret, arte di strada. È uno che fa tante cose, e tutte con ottimi risultati.

È in piedi, un po’ in disparte. Davide ha la faccia terrea, una mano allo stomaco. Sarà emozione? Mi avvicino, gli stringo la mano, lui mi saluta annunciando con nonchalance: sto morendo. Il mio solito culo, penso, mi va a morire prima che possa scambiarci 2 chiacchiere.

Per fortuna viene fuori che si tratta di colite, e di colite non si muore. Anche se è una gran rottura di coglioni, e io ne so qualcosa. Ci sediamo a uno dei tavoli del Casseta Popular e, tra un bicchiere di vino e l’altro (che non fa proprio bene alla colite, ma tant’è), facciamo un’attenta anamnesi dei suoi sintomi, studiando il menù per trovare la migliore opzione per il suo e il mio intestino malandato.

Così, tra un mi sembra di avere un bozzo sul fianco e un il cous cous forse irrita meno, la nostra chiacchierata comincia, si evolve, fino a diventare quest’intervista.

La prima volta che ti ho sentito ero al Polski Kot, fuori c’era la neve, dentro c’erano i pierogi e la vodka, ed è stato amore a primo ascolto. Rimanendo in tema prime volte: la tua prima volta a Torino?

Ero in un posto che si chiama Rosso di sera. Mi ricordo che i proprietari, simpaticissimi, hanno acquistato un mazzo di rose e l’hanno distribuito tra il pubblico in sala, per potermi tirare i fiori a fine serata. Atmosfera pazzesca. Da quel momento Torino è diventata la tappa finale dei miei tour, un luogo dove ricaricare le pile prima di tornare al sud – all’epoca facevo il coast to coast dalla Sicilia fin su al nord sulla mia vecchia Panda! – per poi diventare sempre più parte della mia vita, e della mia musica.

A San Salvario ti si vede spesso, gli hai pure dedicato una parte della canzone Torino e un gioco da tavolo. È la tua zona preferita di Torino o…?

È una delle mie zone preferite, e ci ho anche vissuto. Adesso però vorrei cambiare, sto cercando casa in altre zone. Che so, Vanchiglia, San Paolo…

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La scena musicale torinese, andando oltre i nomi già stranoti: chi ti senti di “sponsorizzare” tra gli emergenti?

Di nomi ce ne sarebbero tanti. Però se devo scegliere uno, Luciano de Blasi. E Gianluca Vigone. Veramente favoloso!

Leggendo la tua biografia ho scoperto che siamo coetanei e che siamo entrambi isolani. A proposito di isole, cosa porteresti dalla Sicilia a Torino, e di Torino in Sicilia?

Da Torino alla Sicilia, la voglia di fare e l’educazione civica. Triste da dire ma purtroppo è la verità. Al contrario, dalla Sicilia a Torino un po’ di buon senso, di calore umano, di sincerità. Hai presente quel detto, piemontese falso e cortese? Quando sono arrivato a Torino tutti sembravano splendidi e ospitali, ma mi sono reso conto che in qualsiasi luogo vai, alla fine i luoghi comuni tornano. Come diceva Beppe, della mia vecchia casa discografica, per conoscere il futuro devi guardare alla storia. E i luoghi comuni vengono dalla storia. Se da due secoli esiste quel detto un motivo ci sarà, o no?

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Probabilmente sì. Quindi se dovessi dare un consiglio, da non torinese, a chi si trasferisce qui?

A chi è del sud come me direi di non dare per scontato che si mangi bene solo giù. Girate le ottime trattorie e piole che ci sono in giro a Torino, come Lo sbarco o il Barnum, tutt’e due in San Salvario.  E frequentate poco la movida, che crea dipendenza e finite col non fare un cazzo.

E fa venire la colite. Davide, sei un musicista, pittore, inventore di giochi da tavolo, attore, fantartista, e dal tuo sito internet risulta anche cretino. Mi sono dimenticato qualcosa? Chi ti credi di essere?

Sono anche sviluppatore di software gestionali, SAP. Mi intrippa ancora la programmazione, ogni tanto. Chi mi credo di essere? Un bambino. Perché alla fine faccio tante cose diverse, ognuna è un gioco, e quando mi stanco di uno posso sempre passare a un altro.

Alla lunga mi stanca fare sempre le stesse cose, così come portare in giro gli stessi spettacoli. Mi piacerebbe proporre nuove esibizioni, lanciare nuovi messaggi in nuovi luoghi.

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Chiudiamo con una domanda da pranzo di Natale. Non è né “Quando ti laurei” né “Quando ce la fai conoscere”. Cosa vuol fare da grande Davide Di Rosolini?

L’astronauta. No, ormai troppo tardi. Facciamo il cuoco. Oppure l’agricoltore. Il raccoglitore.

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Cagliaritano classe 1982, web marketer appassionato di basket, giochi di ruolo, viaggi. Dal 2014 vivo (a) Torino, ma ancora non ho imparato a fare i controviali.

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