Salone del gusto 2016. Per amanti del buon cibo e delle folle affamate

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Quando mi sono trasferito a Torino devo ammettere di aver avuto culo, o tempismo, o entrambi. Proprio quell’anno si teneva infatti uno degli eventi più fichi che la città offra: il Salone del Gusto, organizzato ogni 2 anni dall’associazione Slow Food.

E siccome mi è piaciuto parecchio, sono stati due lunghi anni di attesa, finalmente terminata domenica 25 Settembre.

Prequel: che cos’è il Salone del Gusto?

Il Salone del Gusto è un’enorme manifestazione / fiera / mercato dedicato al buon cibo, quello prodotto da persone che amano ciò che fanno e che non lo fanno (solo) per il vil denaro.

Al Salone trovi il prodotto di nicchia altrimenti difficile o impossibile da reperire in supermercati e affini al di fuori del territorio di origine (al più reperibili da Eataly, dove visti i prezzi è meglio munirsi di un rene senza aspettarsi il resto indietro), parli con chi le produce, assaggi e, se hai qualche soldo in tasca, acquisti. Puoi scoprire, ad esempio, la fantastica pitina friulana, il caciocavallo con ripieno di soppressata dalla Basilicata , o la deliziosa pecora villsau norvegese, cotta 12 ore e morbida come una crema.

Fino al 2014 il Salone del Gusto si è svolto alla Fiera del Lingotto. Un posto un po’ anonimo ma perfetto per eventi importanti e con grande afflusso di pubblico, alla “modica” cifra di 12 euro a persona.

Quest’anno l’ideona. “Dai, facciamo il Salone del gusto 2016 itinerante“. Quindi niente più Lingotto, niente più biglietto di ingresso, e via al Salone diffuso in diversi punti strategici della città: Piazza Castello, Via Roma, i Murazzi sul lungo Po, e soprattutto il Parco del Valentino.

Il mio pensiero è stato immediato: gratis e all’aperto = disordine e sporcizia / incognita meteo / orde di persone a caccia di assaggi gratuiti . Potevo forse sbagliare?

Il salone del casin…ehm, del gusto

Ovviamente sì. Almeno sul primo e sul secondo punto.

Legambiente ha organizzato un po’ ovunque delle isole di smistamento dei rifiuti per la differenziata, e molti dei materiali usati per servire le pietanze erano perfino compostabili. I bagni c’erano, erano tanti ed erano chimici. Ma almeno nessuno ha dovuto farla agli angoli dei palazzi o appoggiandosi ai tronchi degli alberi come un dobermann.

Anche sul clima poco da dire. L’anticiclone ha fatto il suo dovere, benedicendoci con una giornate tanto – forse perfino troppo – calde.

Sul terzo, invece, avevo ragione io. Purtroppo.

Domenica 25 Settembre Alice e io abbiamo attraversato come due salmoni fiumane di persone che neppure alla mensa della Caritas, fiondatesi al Parco del Valentino e in Via Roma armate di stecchini, che hanno infiocinato qualsiasi cosa somigliasse a un insaccato, un formaggio, un prodotto commestibile.

Col risultato che chi era davvero interessato (come me, ma non solo) a conoscere ciò che mangiava, chi lo produceva, e magari a portarselo a casa (il cibo, non il produttore), si è visto travolto da chi era lì solo per mettere in bocca l’assaggio, poi vantandosi di essere riuscito a mettere tra i denti anche uno spicchio d’aglio I.G.P. o la buccia di una susina Bio.

Insomma, uno degli scopi principali del Salone è stato ampiamente disatteso.

Altro pacco colossale è stata La via del gelato, ossia Via Po. Mi aspettavo decine di stand a proporre gusti strambi e fatti con ingredienti insoliti, mi sono trovato davanti, oltre alla solita fiumana di persone, 4 baracchini con gusti banali. Passato oltre senza pensarci due volte.

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Il prezzo da pagare per la tranquillità

E’ andata meglio là dove l’obolo era obbligatorio. Ai Murazzi ad esempio, zona delle birre artigianali, così come a Palazzo Reale, dove stanziavano i Food Truck (tra cui quello del mio feticcio gastronomico, la Salsiccia di Bra), e l’enoteca, sistemata splendidamente nel cortile del Palazzo.

Era ora. Ci siamo goduti senza file eccessive e senza ressa qualche boccale di birra artigianale prima, e diversi bicchieri di ottimi vini provenienti da tutto il territorio nazionale (e da qualche paese estero) poi.

Tengo a precisare, putacaso ci fosse qualche poliziotto della stradale in ascolto, che eravamo a piedi. E comunque abbiamo mangiato prima di bere.

Il sistema dei token, ossia pago alla cassa per ricevere dei gettoni che posso poi spendere per l’acquisto di birre / bicchieri di vino, ha funzionato molto bene e ha dissuaso gli scrocconi di professione, lasciandoci gustare per qualche istante ciò che stavo assaggiando.

In conclusione

Non ho idea di come sia andata agli esercenti, se questa edizione sia stata più o meno ricca delle altre. Quindi valuto coi miei occhi di utente e consumatore.

L’idea di fare il Salone del Gusto 2016 all’aperto e itinerante è stata interessante, senza dubbio.

Ma un afflusso del genere (da qualche parte ho letto mezzo milione di persone) rende impossibile ogni interazione tra consumatori e produttori.

A costo di passare da borghese – radical – chic, mi chiedo: ma non sarebbe meglio estendere il sistema del gettone anche agli stand che promuovono i propri prodotti? O ripristinare in qualche modo un biglietto d’ingresso?

Quindi, se nel 2018 volessi fare una capatina al Salone del Gusto, e venisse confermata questa formula all’aperto “all you can eat”, meglio che tu ti armi di tanta pazienza e gomiti ben alti.

O ancora meglio, che tu prenda un giorno di permesso da lavoro e scelga di andare il venerdì.

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Cagliaritano classe 1982, web marketer appassionato di basket, giochi di ruolo, viaggi. Dal 2014 vivo (a) Torino, ma ancora non ho imparato a fare i controviali.

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